Che la voce sia lo strumento più complesso e, al contempo, più espressivo è argomento noto fin dalla concezione epicurea della musica e della tragedia greca, evolutasi più di duemila anni fa nel Mediterraneo e, soprattutto, in quella Magna Grecia cui la vocalist nissena sembra appartenere a pieno titolo, ed a pieno titolo appartenere, di conseguenza, ai capitoli più significativi delle Blue Notes .
Non per questo la Tradizione è fatta voce di “musica mondiale”, in quanto l’Officium creativo volge la propria attenzione a suggestioni contemporanee che sentono i flussi classici dello Scat ed immaginano memorie future soprattutto nei tempi più distesi, ove gli equilibri interni divengono consonanze per una sensibilità compositiva la cui linea d’equilibrio si pone fra diversità estetiche ritenute tradizionalmente (ed erroneamente) opposte: hard bop, penombre arabeggianti, vibrazioni world, sincretismi swing, armonie fuggenti nell’eleganza alla Joni Mitchell di “Mingus” (“Blip Unforeseen Variation”), essenze etniche quasi in forma di mottetto che vengono declinate in un lirismo cameristico delicato, composto ed emozionante (“Zahara”).
Spontanea ed intensa nel muovere le emozioni con un linguaggio sfumato ed un corollario tecnico pari alla bellezza educata e sensuale della sua voce, Daniela non ama nulla di preordinato negli arrangiamenti, lasciando la sensazione di dar ampia libertà ai colori solistici del sax di Max Ionata e del piano di Seby Burgio, ben sostenuti dalla facilità intuitiva dell’ottima ritmica di Fidone e Tringali. Quelli che con facilità potevano essere appunti disordinati sulle vicende storiche del canto sono invece il perimetro di un pensiero organico che si muove con agile spontaneità in un assoluto di luci su uno spazio bianco e poetico denso di aggettivi umani, di intelligenza e personalità.
di Fabrizio Ciccarelli