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Il festival diretto da Francesco Cafiso, giunto alla nona edizione, ha cambiato formula: non si svolge più in quattro fine settimana, ma in nove giorni consecutivi, presso la consueta cornice di Piazza Enriquez ma anche presso altri suggestivi spazi della cittadina in provincia di Ragusa.

Dedicato a Gesualdo Bufalino, del quale ricorre il ventennale della scomparsa, il festival è iniziato con un quartetto composto dal sassofonista statunitense Rick Margitza (protagonista di una collaborazione con Miles Davis nel cd «Amandla» e con questi anche in tour per un breve periodo nel 1989) e da tre musicisti francesi (Manuel Rocheman-pianoforte, Peter Giron-contrabbasso e Philippe Soirat-batteria). Un repertorio tutto di composizioni originali del leader, eccetto una toccante “Cry Me A River” dedicata alle vittime dell’orribile strage di Orlando, caratterizzata da una cadenza finale in solo, per un concerto di ineccepibile classicità, pur se non particolarmente incisivo in termini di groove. Il valore di questo tenorista di solida matrice breckeriana è storicamente testimoniato da altre collaborazioni importanti (Corea, Tyner per citarne alcune) e da una bella discografia a suo nome per etichette come Blue Note e Palmetto. Il trio che lo accompagnava ha mostrato belle qualità, dalle sapide armonizzazioni di Rocheman (unico allievo di Martial Solal), al robusto walking di Giron, alla delicatezza ritmica di Soirat, valorizzando belle composizioni come Truth Be Told, Gypsies, la breve ballad Sacred Heart dedicata al nipotino scomparso, Sometimes I Have Rhythm (basata sulle armonie di I Got Rhythm), Far From Home, il bis hardbop di E Jones con un penetrante duo sax-batteria.

Il quartetto del trombettista palermitano Giacomo Tantillo (Francesco Patti-tenore, Francesco Lo Giudice-hammond, Paolo Vicari-batteria) ha tenuto un concerto antimeridiano nella splendida cornice del Teatro Comunale, con un excursus nella storia del jazz che andava dal jazz tradizionale a Roy Hargrove, passando per una versione di Day Break di Tom Harrell in cui emergeva il buon livello raggiunto dal leader e il valore dei suoi collaboratori.

Il contrabbassista danese Jesper Bodilsen, già venuto a Vittoria in una edizione precedente del festival con il trio di Stefano Bollani, ha portato le musiche del suo nuovo cd «Scenografie». Insieme agli scandinavi Peter Asplund alla tromba e flicorno e Nikolaj Bentzon al pianoforte, e al siciliano Francesco Calì, fisarmonicista da anni trasferitosi in Danimarca, ha ospitato la voce partenopea di Joe Barbieri, per un progetto dedicato alle ballad e alla forma canzone. La stessa formazione, priva di batteria, faceva intuire gli sviluppi della musica, che è stata intima e coinvolgente, valorizzando le qualità di ciascuno e dell’insieme, grazie a sonorità che si integravano alla perfezione. Il delicatissimo suono di Asplund ha introdotto in solitudine il primo brano, seguito dal sostegno ritmico-armonico del leader, che si conferma come uno dei migliori contrabbassisti europei, e da pianoforte e fisarmonica, definendo immediatamente il mood del concerto, su cui aleggiava, delicato e assorto, lo spirito di Chet Baker. Il pianismo di Bentzon, essenziale, mai debordante, si incrociava con i fraseggi riccamente melodici della fisarmonica e gli assolo di Bodilsen, per una celebrazione delle melodie condotta con passione e creatività. Dopo la iniziale Song For Her si è unito al quartetto Joe Barbieri, per una medley fra la sua Subaffitto (dal nuovo cd «Cosmonauta da appartamento») e Estate. Dapprima solo chitarra e voce, seguite poi dal quartetto, la integrazione tra la suadente voce di Barbieri e il gruppo costituiva il valore aggiunto del concerto, la cui scaletta prevedeva altre composizioni originali del leader (Marie, dedicata alla figlia, Please Walk Me back con ospite Francesco Cafiso, Caetano, dedicata a Veloso, Regni e corone, Another Heart, Napoli). Una menzione a parte meritano la brasiliana Retrato em Branco e Preto e Normalmente, la più bella canzone contenuta nel cd capolavoro di Barbieri «Maison Maravilha», interpretata da questo quintetto con gusto ineguagliabile. Bis quanto mai bakeriano sulle note intramontabili di But not for me affidata alla voce di Barbieri, che proprio a Baker ha dedicato il cd «Chet Lives!» del 2013.

Lo spazio raccolto di Piazza Unità ha accolto il quartetto di Nello Toscano e Claudio Cusmano, con Seby Burgio e Peppe Tringali. Le musiche erano quelle del loro progetto “Blowin’ In The Wind” dedicato alle canzoni degli anni Sessanta e Settanta, dall’omonima di Dylan, a Help, Desperado, Mrs. Robinson, Superstition. Il concerto è stato estremamente coinvolgente, grazie agli arrangiamenti gradevolissimi, e alla perizia di tutti a iniziare dal chitarrista Cusmano, sui cui ottimi fraseggi gravava buona parte dei brani, al valoroso contrabbasso di Toscano, alla perizia alle tastiere di Burgio e alla batteria di Tringali, sempre pertinente ed efficace.

Il trio di Mauro Schiavone (oltre al leader al pianoforte, Pietro Ciancaglini al contrabbasso e Adam Pache alla batteria) ha presentato un suggestivo viaggio attraverso la storia del piano jazz moderno, spaziando da Hank Jones a Hancock, da Bill Evans a Bud Powell, a Monk, a Corea. Grande padronanza dello strumento e del repertorio, spazio per un paio di belle composizioni originali, apporto dei partner empatico ed essenziale, per un concerto di classica compostezza, che ha visto in un paio di brani l’intervento di Cafiso. Particolarmente riuscita l’esecuzione della powelliana Hallucinations.

Il venticinquenne sassofonista comisano Giovanni Digiacomo, oggi allievo di Attilio Zanchi, ha portato a Vittoria un quartetto con al contrabbasso il suo maestro, e i giovani Gennaro Cotena alla chitarra e Alfonso Donadio alla batteria. Buona prestazione del gruppo, grazie ovviamente al solido accompagnamento di Zanchi, ma anche al valore del leader, che si alternava fra alto e soprano, in una serie di interessanti composizioni originali dei tre, oltre a Shorteriana del contrabbassista.

Il trio del pianista tedesco Pablo Held (Robert Landfermann-contrabbasso e Jonas Burgwinkel-batteria) ha ospitato il veterano Christof Lauer, una delle voci sassofonistiche più importanti della scena europea, come ha ampiamente dimostrato imbracciando tenore e soprano, sorretto da un trio di magistrale qualità, testimonianza dell’eccellente stato di salute del jazz tedesco. Il drumming personale, elastico ed efficacissimo di Burgwinkel, la solidità swingante di Landfermann e la cristallina tecnica di Held (appena ventinovenne) hanno supportato al meglio i travolgenti fraseggi e il sound poderoso e postcoltraniano di Lauer, in una serie di composizioni originali di taglio avanzato, e ciò nonostante quanto mai coinvolgenti. Cameo, Encore, Chiffre, una delicatissima rielaborazione della bartokiana Mountain Horn Song che fa parte delle Romanian Folk Dances, la lirica Talla e Nana di Manuel De Falla fra i brani suonati dal gruppo. Bis sulle note indimenticabili di You Won’t Forget Me, dal memorabile disco di Shirley Horn con Miles Davis.

La nuova formula del festival ha previsto anche l’utilizzo di spazi diversi della cittadina iblea, oltre alla consueta piazza Enriquez. Uno dei più suggestivi è stato quello di S. Antonio Abate, una chiesa barocca a cielo aperto, nella quale Francesco Cafiso ha voluto ambientare il suo duo con Mauro Schiavone. La perfetta intesa fra i due ha determinato la riuscita del concerto, basato su un repertorio ad hoc specie all’inizio costituito da nuove composizioni dal carattere astratto, lunare, intenso, davvero impegnative per gli esecutori. Echi di tango, spanish tinge in un memorabile brano al flauto traverso, e altri noti ma mai eseguiti prima in duo come Scenario. Una prova magistrale, di grande suggestione.

Il trio Nu Roots del trombettista catalano David Pastor (José Luis Guart-tastiere; Tony Pages-batteria) ha proposto una fusion debitamente aggiornata – a tratti decisamente easy listening – fra suoni campionati, massiccio groove e infuocati assolo di tromba, con hit come Milestones, Mas que nada e A Night In Tunisia, riscuotendo un notevole successo di pubblico.

Daniela Spalletta è stata ospite del quartetto del sassofonista e clarinettista Claudio Giambruno (Giovanni Conte-piano elettrico; Stefano India-basso elettrico; Fabrizio Giambanco-batteria), gruppo che ha dimostrato solidità anche eseguendo alcune composizioni di Chick Corea. La cantante palermitana, che nel 2015 ha pubblicato il primo cd da leader («D/Birth» per Alfa Music), ha mostrato una maturità espressiva a tutto tondo: qualità del timbro, estensione, attitudine improvvisativa, personalità, sia nei brani mossi che nelle ballad. Una nuova, bella realtà del jazz italiano.

Il quintetto del sassofonista statunitense Chris Cheek (Jaume Llombart-basso elettrico, Jordi Matas e Pierre Perchaud-chitarra elettrica, Jorge Rossy-batteria), è arrivato a Vittoria con una formazione piuttosto differente da quella in programma, per una carrellata di composizioni assimilabili al genere noto come Americana, oltre a Forever Green di Tom Jobim. Il suo recentissimo cd per la Sunnyside («Saturday Song») è ancora più marcatamente vicino allo stile, per la presenza della pedal steel guitar di David Soler, che a vittoria era assente. Qui il rigoglioso fraseggio del tenore del leader poggiava sui fantasiosi ritmi di Rossy e sul supporto armonico e solistico dei due chitarristi (Matas, pur non suonando la steel guitar, ne imitava a tratti il suono con il bottleneck), per un concerto gradevolissimo, frizzante, senza alcun momento di stasi, con un approccio solare e coinvolgente.

La serata finale, Francesco Cafiso l’ha voluta riservare tutta per sé, riarrangiando per nonetto le musiche già per quartetto del suo cd «20 cents per note», facente parte del triplo «3» del 2015. Una serata all’insegna dello straight ahead jazz, che schierava sul palco, oltre al leader al sax alto e al flauto, le trombe di David Pastor e Alessandro Presti, il trombone di Humberto Amésquita, il sax tenore di Rino Cirinnà, il sax baritono di Sebastiano Ragusa, e la ritmica composta da Mauro Schiavone al pianoforte, Pietro Ciancaglini al contrabbasso e Adam Pache alla batteria. Una formazione agguerrita, perfettamente equilibrata, nella quale tutti si sono impegnati al massimo per interpretare al meglio le complesse partiture, investendo l’affollatissima piazza di uno swing irresistibile, con assolo trascinanti e un lavoro d’insieme davvero encomiabile. Davvero una bella conclusione per un festival decisamente riuscito e coinvolgente.

Vittoria Jazz Festival
Vittoria (RG) – 18-26 giugno 2016
di Vincenzo Fugaldi